Con la firma della Convenzione dell’Aja, avvenuta all’incirca 34 anni fa, l’Italia riconosceva come trust tutti “i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico“. Da allora, grazie anche all’opera divulgativa svolta dal professor Maurizio Lupoi, l’utilizzo di quest’istituto di diritto anglosassone è diventato sempre più frequente anche in Italia. Tuttavia, al di là del progressivo superamento delle difficoltà giuridiche che l’istituto comporta, l’Italia sconta ancora alcuni “gap” culturali che ne rallentano l’impiego.

Tra i professionisti intervistati sul tema in un articolo pubblicato su Italia Oggi, a firma del giornalista Antonio Ranalli, anche la nostra of counsel Valeria Salito.

Per l’avv. Valeria Salito: «attraverso il trust, possono perseguirsi fini che l’ordinamento interno trascura, permettendo di colmare lacune di garanzia. In particolare, l’istituto si presta a regolare importanti aspetti delle convivenze more uxorio: difatti, non v’è ostacolo ad ammettere che conviventi possano servirsi dei trust al fine di regolare i propri rapporti patrimoniali, a tutela della prole, dando luogo, così, a patrimoni separati in analogia con il fondo patrimoniale. Sul punto, è stata affermata la validità di un trust interno diretto a realizzare le esigenze presenti e future di una coppia di fatto e della prole naturale (Tribunale Trieste, 19/09/2007). L’assenza di un vincolo parentale e di una situazione di certezza di rapporti giuridici, non impediscono di ritenere meritevole lo strumento del trust al fine di concedere una tutela, altrimenti inesistente, ai genitori e ai figli nati prima o in costanza di questo rapporto di fatto».

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